Col termine eutanasia viene indicato l’atto con cui si pone termine di proposito all’esistenza di una persona in gravissime condizioni di salute, al fine di alleviarne il dolore e le sofferenze.
Nel quadro dell’eutanasia rientra la sospensione delle cure mediche salva-vita, cioè il decreto di non rianimare o di togliere le medicine e addirittura l’idratazione e l’alimentazione quando però non ci troviamo di fronte a un paziente in fin di vita. Esiste dunque un’eutanasia attiva e di una passiva (o omissiva).
In alcuni paesi del mondo è pratica praticata ed accettata da anni, in altri è tollerata, in altri ancora è vietata dalla legge.
L’eutanasia in Italia è vietata in qualsiasi forma e chi la sostiene rischia l’incriminazione per omicidio volontario (art. 575 del Codice Penale) o, nel caso in cui dimostri il consenso del malato, di omicidio del consenziente (art.579) con pene dai 6 ai 15 anni.
Nel caso del suicidio assistito può essere applicato l’art. 580 sull’istigazione al suicidio, con pene fino a 12 anni, alle quali si possono sommare altri reati “minori” come l’omissione di soccorso. Nel vuoto normativo attuale c’è spazio per sentenze isolate, come quella del novembre 2017, quando il Tribunale di Milano ha stabilito che non si può ostacolare la volontà di chi vuole recarsi all’estero per ottenere il suicidio assistito.
Tra i paesi, invece, in cui è sempre più praticata, con numeri che lasciano perplessi, c’è il Belgio.
La legge belga sull’eutanasia prevede che la capacità mentale del paziente sia conservata, che la sua richiesta sia ripetuta, prolungata ed espressa liberamente e che siano presenti sofferenze insopportabili causate da una malattia incurabile.
Nel valutare l’incurabilità della malattia, tuttavia, «occorre tener conto del diritto del paziente di rifiutare i trattamenti, sia pure palliativi», con evidente estensione del diritto a richiedere la dolce morte.
Secondo l’ottavo rapporto biennale della Commissione federale di controllo (Cfcee), previsto dalla legge sull’eutanasia del 28 maggio 2002 e relativo agli anni 2016 e 2017, in 15 anni il numero di eutanasie legali si è decuplicato, salendo dai 259 casi dei primi 15 mesi di applicazione ai 2.309 del 2017. In Belgio l’eutanasia legale interessa ormai più del 2% dei decessi.
In altre parole, ogni giorno tra 6 e 7 persone muoiono per una iniezione endovenosa di tiopentale sodico, seguita o meno da quella di un farmaco a base di curaro che provoca la paralisi muscolare.
Considerando che la popolazione del Belgio è di circa 11 milioni di abitanti, se gli stessi dati riguardassero l’Italia si potrebbe calcolare che i morti potrebbero essere 14.000 ogni anno, una cifra altissima e per di più con la prospettiva di un costante aumento.
I pazienti sottoposti ad eutanasia si collocano in maggioranza nella fascia di età tra i 60 e gli 89 anni. Maschi e femmine sono egualmente distribuiti e quasi la metà delle eutanasie avviene ormai a domicilio, perché, secondo il rapporto, sempre più «il paziente desidera morire a casa sua».
Nell’ultimo biennio si sono però verificati anche 3 casi sotto i 18 anni (nello specifico, 9, 11 e 17 anni).
In due anni 77 pazienti hanno chiesto l’eutanasia per malattie mentali comprendenti disturbi della personalità, depressione, ansia e schizofrenia.
Quasi tutte le procedure sono avvenute a seguito di una richiesta attuale, mentre quelle effettuate sulla base di disposizioni anticipate di trattamento superano di poco l’1%. In più del 94% dei casi il paziente è stato messo a morte con una somministrazione endovenosa di tiopentale, associato o meno ad agenti curarizzanti per bloccare la muscolatura.
Per fare un altro esempio di paese dove questa pratica è largamente utilizzata, da quando l’eutanasia è stata liberalizzata in Canada da una sentenza della Corte Suprema nel 2016, sono già morte 3714 persone (dati aggiornati al 2017).
La legge è una delle più liberali al mondo e l’obiezione di coscienza, pur non essendo vietata, è di fatto fortemente scoraggiata come dimostra il caso dell’infermiera Mary Jean Martin, che in un’intervista a “Tempi” ha raccontato la sua storia: «Sono stata licenziata solo perché non voglio uccidere».
Numeri incredibili, “accettabili” che si condivide la teoria secondo cui ogni essere umano ha il pieno diritto di controllare la propria vita, quindi anche decidere per la morte se lo ritiene opportuno.
Nel nostro paese, come abbiamo già detto, la pratica è illegale, ma ci sono numerose associazioni che si battono per legalizzare l’eutanasia o comunque sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema: la cosiddetta Consulta di Bioetica (nata nel 1989), Exit-Italia (nata nel 1996), Liberauscita (nata nel 2001) e l’associazione radicale Luca Coscioni.