Se ne va uno dei più grandi della letteratura contemporanea. Gabriel Garcia Marquez, nell’immaginario collettivo, era lo scrittore per antonomasia, colui che con le sue opere, col suo Cent’anni di Solitudine, ha marchiato a fuoco un’epoca letteraria.
A causa dell’aggravamento in seguito a una polmonite, ci ha lasciato all’età di 87 anni in un ospedale di Città del Messico.
Appresso a lui, ai suoi lavori di stampo libertario e al contempo esotico, si era riconosciuta un’intera generazione di lettori, colti e no.
Macondo, il paese dove è ambientato il suo capolavoro Cent’anni di solitudine, è diventato un simbolo, un sinonimo di vita alternativa.
Cronaca di una morte annunciata, L’autunno del patriarca, l’amore ai tempi del colera, il Generale nel suo labirinto, sono luoghi comuni, universali della letteratura mondiale.
Gabriel, che fu insignito del premio Nobel nel 1982, ci ha lasciato il suo ultimo lavoro, memoria delle mie puttane tristi, che è un po’ la sintesi del suo modo di essere, di scrivere e di intendere la vita: contraddittorio, provocatorio, ironico.