Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di parlare più volte di uso ed abuso di antibiotici: quando gli antibiotici vengono usati senza ragione e senza un fine preciso, i batteri finiscono per sviluppar specifiche resistenze, tanto da arrivare ad annientarne l’efficacia.
Negli ultimi decenni diversi antibiotici si sono progressivamente rivelati inutili su un gran numero di super-batteri che stanno proliferando, ed il monito dell’Organizzazione mondiale della Sanità è quindi quello di limitare assolutamente l’uso degli antibiotici.
Eppure l’Italia è uno dei paesi in cui questo abuso è più evidente, e a quanto pare buona parte dell’uso si concentra negli allevamenti.
Nello specifico, metà degli antibiotici consumati ogni anno in Italia non è destinato all’utilizzo umano ma finisce negli allevamenti di polli, tacchini e suini.
Il dato emerge dal Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza, che mette in luce come l’abuso abbia diffuso il problema dell’antibiotico-resistenza nel settore animale, con il pericolo di trasmissione di batteri dall’animale all’uomo tramite contatto diretto o attraverso gli alimenti.
“L’antibiotico-resistenza – spiega Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica – viene messa in moto anche da alterazioni indotte dall’alimentazione degli animali che mangiamo”. Attraverso pollame, uova e carne di maiale (compreso il prosciutto e tutti gli altri derivati), si ingeriscono “pezzi di genoma modificati – continua – che ed entrano nel genoma di chi li mangia”.
Eppure, le leggi che regolamentano con rigidi protocolli e controlli l’uso degli antibiotici negli allevamenti ci sono. “Il problema – afferma Ricciardi – è che il Piano del Ministero della Salute sull’antibiotico-resistenza varato nel 2017 finora è rimasto sulla carta”.