Oggi giorno, nelle scuole italiane, è obbligatorio l’insegnamento di una seconda lingua, quando non addirittura di una terza.
Per tanti studenti è una “scocciatura” in più, ma il bilinguismo invece ha i suoi incontrovertibili vantaggi.
Numerosi studi hanno dimostrato che imparare due lingue da piccoli migliori un intero set di capacità cognitive, rendendo il cervello più abile nel muoversi tra più attività, nel concentrarsi in un ambiente affollato, come un’aula scolastica e nel ricordare le cose. Imparare e usare due lingue, secondo questi studi, evidentemente rende i bambini più intelligenti.
Uno altro studio ha spiegato che i bambini bilingue, come pure i bambini limitatamente esposti ad una seconda lingua, sarebbero in grado di interpretare meglio le intenzioni di un’altra persona, grazie alla capacità di vedere le cose da una diversa prospettiva, ad una maggiore empatia e ad una migliore comprensione di ciò che l’altro intenda dire.
Inoltra, pare checoloro che parlando due o più linguaggi sono in grado di effettuare decisioni relative a rischi economici in maniera molto più razionale parlando e riflettendo non utilizzando la propria lingua madre, in quanto ciò li induce a riflettere in maniera più profonda sui rischi presi e sulla loro connessione.
Ma c’è di più: il bilinguismo è anche un vantaggio in età più avanzata.
“La mente se adeguatamente sollecitata può non invecchiare. Fattori di crescita e cellule staminali si fanno carico di sostituire i neuroni perduti, rendendo il cervello plastico e rinnovabile sino a tarda età”: a esserne certo è il medico e ricercatore Roberto Pili.
L’esperto ha spiegato la sua teoria dinanzi a tantissime persone accorse alla presentazione di Fidelidade: favola bilingue, in italiano e sardo, inserita nel progetto scientifico di medicina narrativa Pro.me.te.o. portato avanti dalla Comunità Mondiale della Longevità da lui guidata e con la collaborazione di un team di ricercatori guidati dalla psicologa Donatella Petretto.
“Uno dei grandi segreti della longevità è custodito nella mente – ha proseguito Pili – tenendo in attività le nostre facoltà intellettive ne garantiamo l’efficienza, la nostra età è quella del nostro cervello. Così come nutriamo il nostro corpo, rinforziamo i muscoli, dobbiamo esercitare il cervello e il parlare più lingue è un efficacissima palestra mentale – osserva – come insegnano i centenari sardi, quasi tutti bilingue, che hanno la caratteristica di mantenersi protetti dalle temibili malattie degenerative come la demenza senile come l’Alzheimer”.
Quindi, in riferimento alla sua opera letteraria, ha spiegato che “il testo si ripromette di esplorare la grande frontiera della stimolazione mentale attraverso l’esercizio della fantasia, narrazione, lettura e scrittura, meglio se bilingue in una Regione, la Sardegna, dove i centenari manifestano al minimo i danni cerebrali dovuti all’età e rivelano una capacità di mantenere le autonomie fino a età molto avanzata”.
“Essere bilingue è una grande risorsa – aveva già spiegato Roberto Pili all’Ansa- si guadagnano competenze precise, che riguardano maggiore velocità e sicurezza, maggiore autocontrollo, più capacità di problem solving e di decision-making grazie al maggior sviluppo delle aree cerebrali del cingolo anteriore, un’area cruciale per il monitoraggio delle nostre azioni, rispetto ai monolingue”.
Questo nuovo esperimento che segue il precedente libro “La strega dei bottoni” che ha riscosso successo anche nella versione teatrale, ripropone con i toni e l’avvincente semplicità della fiaba, in una ambientazione agropastorale, una storia senza tempo e l’universalità dei sentimenti umani.
La storia del Cane Niedduzzu riassume la quotidianità del rapporto uomo-animale e il supporto disinteressato dell’animale-amico nell’affrontare le vicissitudini della vita. Il lutto per la morte di un familiare rappresenta il motivo centrale del racconto e l’elemento scatenante di una narrazione avvincente che racconta il percorso di adattamento ad una nuova situazione di vita, grazie al supporto della famiglia e del fedele animale.
Ricordiamo, inoltre, che una recente ricerca ha svelato come chi parla due lingue tiene lontana anche la demenza di Alzheimer e si riprende prima e meglio da un ictus. In pratica, usare due linguaggi farebbe sviluppare una sorta di riserva cognitiva con cui contrastare la fisiologica perdita di neuroni che si verifica col passare degli anni.
Se consideriamo che con l’allungamento della vita va aumentando il rischio di malattie neurodegenerative negli ultimi anni di vita, imparare un’altra lingua potrebbe quindi rivelarsi un’ottima idea.