L’olio di cocco è un olio vegetale che si ricava dalle noci della palma di cocco tipica delle zone tropicali. Il seme è composto da un guscio fibroso più esterno che contiene un involucro legnoso durissimo al cui interno si trova la polpa (copra), bianca, carnosa e saporita, ricca di grassi, che forma una cavità contenente un liquido lattiginoso dolce e rinfrescante, detto “latte di cocco”.
L’olio (o burro) di cocco, estratto dalla copra tramite pressatura a freddo, viene usato, come condimento nella cucina etnica e in cosmesi naturale, per l’azione elasticizzante, emolliente e nutriente che esercita sulla pelle.
Come spiega il Daily Mail, il boom di questo alimento si ebbe nei primi anni Duemila grazie ad alcuni studio realizzati dalla Columbia University sugli acidi grassi a catena media (MCFAs), una tipologia presente appunto nelle noci di cocco. Secondo gli studi, chi ne faceva uso bruciava i grassi più rapidamente.
Gli MCFAs sono immediatamente convertiti dal fegato in energia, anziché essere immagazzinati sotto forma di grasso. Ecco perché l’olio di cocco è l’ideale sostituto dei carboidrati non vegetali. L’olio di cocco viene assorbito senza fatica dal sistema digestivo e non produce picchi di insulina nel sangue, quindi per ottenere un immediato apporto energetico si può semplicemente ingerire un cucchiaio di olio di cocco, o aggiungerlo al cibo.
L’olio di cocco è anche un potente antiossidante. Uno studio pubblicato in Food and Function, della Royal Society of Chemistry, dimostra che l’olio di cocco vergine previene l’ossidazione cellulare, mantenendo le cellule in salute e combattendone il deterioramento.
Eppure, non tutti sono d’accordo sui suoi effetti benefici: Karin Michels, direttrice dell’Istituto per la prevenzione e l’epidemiologia dei tumori all’Università di Friburgo e professoressa alla Harvard TH Chan School of Public Health, lo considera addirittura alla stregua di un veleno.
Durante una lezione di 50 minuti intitolata “Olio di cocco e altri errori nutrizionali” e pubblicata su YouTube, la prof. Michels ha espresso molto chiaramente le proprie perplessità riguardo all’olio di cocco nella dieta.
Nello specifico, la docente lancia un monito sulla sostanza definendola “una delle cose peggiori che si possano mangiare”, basando quest’affermazione sull’alta percentuale di grassi saturi presenti, composti noti per aumentare i livelli di colesterolo cattivo Ldl e quindi il rischio cardiovascolare.
Secondo Michels, l’olio di cocco è più pericoloso del lardo perché contiene quasi esclusivamente acidi grassi saturi, quelli che possono ostruire le arterie coronarie. È possibile identificare i grassi che contengono grandi quantità di acidi grassi saturi controllando se rimangono solidi a temperatura ambiente, come nel caso del burro o del lardo.
Sebbene Michels non descriva altri “superalimenti” come i semi di acai, chia o matcha come dannosi, al massimo li considera inefficaci perché, nella maggior parte dei casi, i nutrienti per cui vengono propagandati sono disponibili altrettanto facilmente in altri alimenti che sono più facilmente accessibili come carote, ciliegie e albicocche.
Ricordiamo che lo status di superfood era già stato messo in discussione l’anno scorso dopo che l’American Heart Association (AHA) aveva aggiornato le sue linee guida, che raccomandavano alle persone di evitare gli acidi grassi saturi presenti nell’olio di cocco.
Mentre tre quarti del pubblico statunitense considerava l’olio di cocco salutare, la revisione ha evidenziato che solo il 37% dei nutrizionisti era d’accordo.
Altre organizzazioni hanno emesso avvisi simili. Per esempio la British Nutrition Foundation, ribadendo l’assenza di “prove scientifiche forti a sostegno dei benefici per la salute derivanti dal suo consumo”, si è espressa spiegando che “l’olio di cocco può essere incluso nella dieta, ma solo in piccole quantità dato che è ricco di grassi saturi e come parte di una dieta equilibrata”.