Tanti si fanno abbagliare dalle pubblicità e dalle mode e cambiano i propri smartphone anche solo per comprare il modello successivo, che ci viene proposto come più “performante”, sebbene il nostro device mobile sia ancora perfettamente funzionante.
Ma nella realtà sono tantissimi coloro che, al contrario, prestano massima attenzione al proprio smartphone, preservandolo da urti, da cadute, da un uso smodato ed eccessivo, per poterlo preservare il più a lungo possibile, risparmiando così non poco.
Anche la rete telefonica mobile è in continua evoluzione, come sappiamo nel prossimo futuro (questione veramente di poco) potremmo avere il passaggio dalla rete 4G alla 5G.
Non dovremmo preoccuparci nonostante per l’attuale tecnologia 4G siano già presenti numerosi accessori come ad esempio: antenna amplificata, il ripetitore 4G e tanti altri, ma piuttosto potremmo ragionare su quella che viene tecnicamente definita: obsolescenza programmata degli smartphone.
Eppure, dopo un determinato numero di anni, anche col massimo delle premure possibili, i device cominciano a presentare delle problematiche sempre più gravi, a non supportare questo o quel programma, a richiedere che vi si cambi questo o quel componente, tanto che ad un certo punto conviene obbligatoriamente disfarsene e passare ad un modello successivo.
È la naturale progressione del tempo, che consuma tutte le cose che usiamo quotidianamente: certo, ma non solo.
Esiste infatti anche un fenomeno “subdolo” previsto dagli stessi costruttori ed è chiamato obsolescenza programmata: di cosa si tratta?
L’obsolescenza programmata altro non è che una caratteristica tecnica, hardware o software, che fa invecchiare il telefono entro un periodo di tempo determinato. In soldoni, al di là delle problematiche che possono sorgere dall’uso e dallo scorrere del tempo, i telefonini già a monte sono programmati per smettere di funzionare, o quantomeno farlo bene e con efficienza, dopo un determinato arco di tempo.
Dopo qualche anno dall’acquisto del proprio device, le prestazioni cominciano a peggiorare e gli aggiornamenti di sicurezza non vengono più rilasciati, senza contare i continui aggiornamenti di sistema e delle varie app, che ingolfano la memoria e quindi rallentano tutto.
Il motivo di questa pratica è abbastanza intuitiva: se ognuno di noi, con un minimo di cura, potesse ottenere dal proprio smartphone il massimo delle prestazioni per molti anni, il mercato nel suo complesso ci metterebbe ben poco ad entrare in crisi.
E, a onor di cronaca, non è un fenomeno neppure tanto “moderno”: già negli anni venti del ‘900 i costruttori di lampadine si accordarono tra di loro per far scendere la durata media di ogni lampadina da circa 2500 ore a sole mille, per poter aumentare le loro vendite.
E negli anni il fenomeno è stato esteso a tutti i maggiori prodotti tecnologici, dalla lavatrice all’aspirapolvere, passando per pc e appunto smartphone.
Negli ultimi anni si è discusso ampiamente sulla “liceità” di questa obsolescenza programmata, senza che si sia riuscito a trovare un accordo univoco, soprattutto dal punto di visto legislativo.
Già negli scorsi anni, però, l’Antitrust italiana ha multato giganti del calibro di Apple e Samsung perché invecchiavano “artificiosamente” i device che lanciavano sul mercato. In particolare, stando a quanto stabilito dall’Antitrust, Apple e Samsung rilasciavano degli aggiornamenti software che “hanno provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni” degli smartphone, costringendo così gli utenti ad acquistare nuovi modelli.
Dal canto suo, l’Unione Europea sta cercando di introdurre il cosiddetto “diritto di riparazione”, per far fronte proprio a questo fenomeno.
Nello specifico, nel recente “EU Circular Economy Action Plan”, il piano europeo per favorire l’economia circolare, sono presenti diverse misure per limitare al minimo gli sprechi e tra queste spicca quella secondo cui i costruttori di dispositivi elettronici devono garantire la possibilità di riparare, a costi ragionevoli, i device che hanno problemi dopo la scadenza della garanzia.
L’UE mira inoltre a imporre ai costruttori di accettare che gli acquirenti dei loro dispositivi abbiano la possibilità di rivendergli o restituirgli gratuitamente smartphone, tablet e laptop vecchi, per evitare i nocivi rifiuti elettronici.