Per Eccessiva Sonnolenza Diurna (ESD) si intende una sovrabbondante propensione al sonno, tale da ostacolare la gestione della vita quotidiana, che si fa sentire in situazioni inappropriate, ossia quelle in cui il desiderio di dormine non è naturale, perché l’organismo dovrebbe essere attivo, come ad esempio durante il giorno.
Una condizione questa ben specifica che colpisce circa il 15% della popolazione italiana e che è all’origine, in modo diretto o indiretto, del 22% degli incidenti stradali e favorisce infortuni sul lavoro e domestici.
Stili di vita errati, l’assunzione di alcune sostanze, disturbi del sonno ma anche malattie più generali, tante le cause che, pur con modalità diverse, determinano una serie di eventi a carico del sistema nervoso centrale che sfociano nello stesso risultato: l’eccessiva sonnolenza durante il giorno.
Uno stato di sonnolenza diurno semplicemente può essere dovuto a un riposo insufficiente e non soddisfacente, escludendo chiaramente l’occasionale nottata insonne che diventa la spiegazione più plausibile ad un episodio isolato di sonnolenza diurna.
In assenza di patologie e/o uso di farmaci, una delle cause possibili della sonnolenza diurna può essere il disturbo del ritmo circadiano del sonno, legato all’addormentarsi con fatica, al sonno interrotto e ad altri problemi inerenti la qualità del sonno.
Vi sono poi alcune patologie che possono portare ad attacchi di sonnolenza improvvisi, come per esempio il morbo di Parkinson. Anche altre classi di farmaci possono causare forte sonnolenza: gli antistaminici di prima generazione, i FANS, alcuni psicofarmaci.
Ma avvertire sonnolenza diurna potrebbe anche essere associato al rischio di ammalarsi di Alzheimer: infatti chi di giorno si sente assonnato negli anni a venire ha un rischio triplo di presentare nel proprio cervello depositi di proteine tossiche tipiche della malattia, ovvero le placche di beta-amiloide.
A dirlo una ricerca appena pubblicata sulla rivista Sleep, che vede tra gli autori anche l’italiano Luigi Ferrucci del National Institute on Aging statunitense.
Lo studio è stato condotto su un numero elevato di volontari, controllati per un lungo periodo. Il presupposto da cui i ricercatori sono partiti è stato quello di collegare i disturbi del sonno alla demenza.
Ai soggetti presi in esame è stato chiesto precedentemente di compilare un questionario inerente ai loro momenti di riposo notturno e diurno. Le domande erano rivolte a indagare la qualità del sonno, gli eventuali riposini pomeridiani e una possibile sonnolenza nelle ore diurne. I partecipanti allo studio sono stati seguiti per diversi anni, alcuni anche per 16 anni, e sottoposti a esami particolari, come per esempio la PET, con lo scopo di individuare nel cervello la presenza della proteina tossica beta-amiloide.
Ebbene è emerso, come abbiamo detto all’inizio, che chi nei questionari aveva dichiarato di soffrire di sonnolenza diurna aveva un rischio triplo di presentare depositi di beta-amiloide nel cervello.
Secondo Adam Spira, uno degli autori dello studio, i risultati suggeriscono quindi una relazione tra disturbi del sonno e lo sviluppo della malattia di Alzheimer.
Lo scienziato ha aggiunto che questo conferma solo l’ipotesi che il poco sonno possa contribuire allo sviluppo della malattia: “Poiché attualmente non esistono metodi per il trattamento del morbo di Alzheimer, è necessario migliorare le modalità di prevenzione della malattia, trattando anche i disturbi del sonno” ha chiosato.
Ricordiamo che questo studio non fa che confermare evidenze già riscontrate in altri studi.
Studi animali su modelli di Alzheimer hanno infatti già dimostrato che limitare il sonno durante la notte può portare a maggiori quantità di beta-amiloidi nel cervello. Alcuni studi umani hanno collegato un sonno di scarsa qualità con misurazioni più alte di beta-amiloidi nel tessuto nervoso.
Ma questo nuovo studio fa un ulteriore passo avanti e suggerisce un nuovo aspetto, ossia che la qualità del sonno potrebbe essere un fattore di rischio modificabile tramite i disturbi che influiscono sul sonno, come l’apnea del sonno ostruttiva e l’insonnia, e fattori a livello individuale e sociale, come la mancanza di sonno a causa del lavoro o causata dal guardare troppa televisione.

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